France Odeon, lo speciale microcosmo dedicato agli amanti del cinema francese, anche quest’anno è giunto al termine, lasciando nei cuori di tutti coloro che gli hanno gravitato intorno una nostalgica malinconia, quella che si avverte quando ha fine qualcosa di speciale.
Il festival ha regalato delle visioni davvero incredibili: tutti i film scelti hanno permesso agli spettatori di immergersi in realtà inedite attraverso le quali commuoversi, divertirsi ed emozionarsi. I cinque giorni, ricchi di proiezioni e di momenti di condivisione, hanno condotto anche a riflettere e a interrogarsi sulla cinematografia di ieri e di oggi e, soprattutto, sul rapporto di sguardi reciproci che lega il cinema francese a quello italiano e sulla sua tenace resistenza, di cui France Odeon si fa prova tangibile.
Le premiazioni del France Odeon 2024
Tra i sei film in gara presentati al festival è Mon Inséparable di Anne-Sophie Bailly a essere stato premiato dalla giuria durante la giornata finale. L’opera, dal tono intimo e delicato, ha come soggetto il rapporto complesso tra una madre single, Mona (Laure Calamy), e il figlio Joël (Charles Peccia-Galletto), affetto da disabilità: in particolare ci si concentra sul momento di passaggio in cui il figlio si innamora e decide di dar vita a una nuova famiglia.
La regista, offrendo una prospettiva innovativa con così profonda sensibilità, permette al proprio film di eccellere tra gli altri in gara, aggiudicandosi la tanto ambita Foglia d’oro di questa sedicesima edizione.
Il film in concorso, vincitore del premio dalla giuria giovani, è invece Mikado di Baya Kasmi, che riesce, con tono fresco e leggero, a raccontare una storia delicata e complessa, offrendo uno sguardo sul mondo dell’affidamento familiare e sugli equilibri precari su cui si muovono i protagonisti.
Mikado è il nome dell’eccentrico padre di famiglia (interpretato da Félix Moati), che sceglie di vivere a bordo di un camper blu: egli, all’apparenza un eterno Peter Pan, è in realtà un uomo che ha molto sofferto durante l’infanzia e che ama profondamente la sua famiglia. Insieme a lui conducono questa vita, scapestrata e itinerante, la moglie Laetitia (Vimala Pons) e i loro due figli: il piccolo Zéphyr e Nuage (Patience Munchenbach). Proprio quest’ultima, che sta entrando nell’adolescenza, si farà portatrice di dubbi e questioni che si presentano durante il cammino verso l’età adulta, capovolgendo le dinamiche dell’intera famiglia.
Quanto siamo davvero liberi di scegliere? E quanto necessitiamo dello sguardo degli altri per essere visti e, di conseguenza, per sentirci amati? Queste sono tutte domande che per prima si pone proprio Baya Kasmi, regista e sceneggiatrice dell’opera, che con grande gentilezza ha risposto alle domande del pubblico dopo la visione. Così la regista, rivelando che il film ha preso vita nella sua mente dalla storia biografica di un suo parente, delinea un ritratto vitale e avvolgente di un incontro tra due famiglie, così diverse tra loro ma entrambe rappresentatrici di ciò che ogni nucleo è costretto, prima o poi, ad affrontare: un’incapacità di comunicazione che conduce a un inevitabile punto di rottura, tanto doloroso quanto necessario per una possibile crescita.
Film hors compétition
Per concludere è fondamentale una riflessione su due film presentati al festival che, pur non essendo in gara, hanno toccato le corde dell’anima: Le Royaume di Julien Colonna e La Bête di Bertrand Bonello.
Torna ancora una volta una dinamica familiare con Le Royaume, opera prima di Julien Colonna, regista corso che ambienta la storia nella sua terra natìa, durante gli anni ’90.
La forza del film risiede nella capacità di immergere lo spettatore nella rude ambientazione corsa, nella cultura isolana di questo popolo e, al contempo, di mostrarci un toccante rapporto padre-figlia. Lesia (Ghjuvanna Benedetti) è una giovane dagli occhi grandi e curiosi, che sta vivendo la spensieratezza della sua prima estate da adolescente: la voglia di trascorrere le giornate al mare, i primi amori e la gioia del dolce far niente sono tutto ciò di cui ha bisogno. Ma la vita di Lesia verrà ben presto stravolta da una scoperta sconvolgente: il padre, unica figura che le è rimasta e a cui la ragazza è profondamente legata, è il boss di un’organizzazione mafiosa corsa. Attraverso una fotografia calda e limpida, Colonna riesce a restituire questo legame così viscerale e profondo tra i due personaggi, attraverso l’uso marcato di un linguaggio del corpo, fatto di sguardi eloquenti più che di vacue parole, sempre più simbolo di una comunicazione sterile.
Il film è stato presentato al festival di Cannes 2024, nella sezione Un certain regarde ha ricevuto il premio France Odeon Sguardi Mediterranei 2024. Grazie alla distribuzione Goodfellas, l’opera è uscita in Corsica a fine ottobre e, dal 13 novembre, sarà proiettata anche nelle sale francesi; sarebbe interessante trovare un distributore italiano che permettesse anche al nostro pubblico di godere di una visione così intensa.
Per concludere La Bête di Bertrand Bonello, passato in sordina all’80° Mostra del Cinema di Venezia nel 2023. “Un film est toujours un miracle”, così esordisce il regista presentando la sua opera e, durante la visione, si ha davvero l’impressione di assistere a una mirabilia.
Con questo film si è catapultati in una dimensione spettacolare, che, tuttavia, presenta sempre un tocco di intimità; si tratta di un mélangetra melodramma e sci-film, che vira poi verso il finale in un thriller angosciante. La ricchezza di simbologie e di elucubrazioni filosofiche, inserite in un complesso ingranaggio interno, sono alla base del film: esso si muove su tre piani temporali fondanti (epoca vittoriana, anni ‘90/2000 e 2044) e presenta una sala da ballo che conduce in altri piani intermedi. Tuttavia, sono i sentimenti a fare da fil rouge all’intero film, che segue le varie trasformazioni di Gabrielle (interpretata da una grandiosa Léa Seydoux) e dell’enigmatico Louis (George Mackay). Emerge così una profonda riflessione sull’essere umano, sulla società in cui viviamo e sulla nostra emotività: siamo davvero sicuri di esserci evoluti e di godere del libero arbitrio? O stiamo piuttosto andando verso un’era distopica (non a caso ambientazione del film) in cui ogni emozione umana, diventando una minaccia, deve essere repressa e cancellata?
Bonello, attraverso un linguaggio cinematografico che evidenzia di continuo i propri procedimenti stilistici, crea un senso di straniamento nello spettatore, che viene di continuo espulso dalla narrazione, facendosi testimone attivo di una decadenza dell’Umanità.