Viviamo in un ingranaggio mosso dalla ricerca della perfezione in cui regna sovrana un’illusione: la certezza che ciò che possediamo non sia mai abbastanza. Siamo incoraggiati a comprare l’ultimo modello di iPhone o la borsa di tendenza, senza soffermarci a pensare se sia veramente necessario.
Ma a questo mondo frenetico, all’insegna del caotico consumismo, si contrappone una dimensione parallela. Un concetto estetico giapponese le cui parole chiave sono imperfezione e incompletezza e che ci ricorda la bellezza di ciò che è imperfetto. Questa filosofia estetica è il wabi-sabi e ci insegna a riscoprire il fascino delle cose autentiche e transitorie.
Le origini del Wabi-Sabi
Le radici di questa filosofia affondano nel buddismo zen e nelle arti tradizionali giapponesi, trovando la bellezza nell’imperfezione. Il termine, composto da due parole distinte, esplicita un potente dualismo: la bellezza della natura contrapposta al passare del tempo. Lo scopo ultimo però è il medesimo: celebrare l’irregolarità in un mondo in cui tutto è color tortora e dagli angoli appuntiti.
Nella tradizione giapponese il concetto presentato è ampiamente diffuso. Come le venature delle foglie, il wabi-sabi si intreccia ad ogni aspetto della vita giapponese. La ceramica raku realizzata a mano rende le proprie imperfezioni un punto di forza, indice di unicità . I giardini zen accolgono l’asimmetria e l’irregolarità della natura. Il kintsugi, l’arte di riparare oggetti in ceramica con oro o argento, esalta le crepe, trasformando la fragilità in bellezza.
Il Wabi-Sabi nell’arte e nella moda
Questa filosofia ha influenzato anche il mondo dell’arte moderna e contemporanea. Artisti come Alberto Burri hanno lavorato sulla bellezza della materia grezza, delle superfici lacerate, adottando una narrazione visiva dell’usura e del tempo. Il kintsugi, con il suo concetto di bellezza nella riparazione, reinterpretato in chiave contemporanea è diventato una metafora artistica per la resilienza e la trasformazione.
Nel mondo della moda, il wabi-sabi ha ispirato alcuni stilisti a cercare un’alternativa alla produzione di massa. Yohji Yamamoto e Martin Margiela hanno fatto proprio il concetto di wabi-sabi e ne hanno tratto capi che sono ad oggi pilastri della moda: nelle loro creazioni vengono utilizzati capi destrutturati, tessuti grezzi e forme irregolari.
La semplicità tratta dal termine wabi costituisce uno dei principi cardine dello stilista giapponese Yamamoto tanto da ispirare una collezione nel 2023 interamente ed esclusivamente composta da camicie bianche.
L’upcycling, il riutilizzo creativo di materiali e capi preesistenti, è un altro esempio di come il wabi-sabi stia trovando spazio nella moda contemporanea. Creare abiti a partire da scarti tessili o capi usurati non è solo una scelta sostenibile, ma anche un modo per valorizzare l’imperfezione e l’unicità di ogni pezzo.
Grazie al wabi-sabi la moda ha conosciuto una nuova dimensione, quella dello slow fashion, la realizzazione di capi d’abbigliamento che durino nel tempo e che promuovano acquisti più consapevoli e sostenibili.
Il Wabi-Sabi come filosofia di vita
Questa filosofia esalta l’umanità , l’irregolarità , la consapevolezza che la bellezza si trova in ciò che è unico. Il wabi-sabi è un’esortazione a rallentare, a ritrovare la bellezza delle cose semplici, ad interrompere l’estenuante ed impossibile ricerca della perfezione. È un invito a riconnettersi con la realtà ed apprezzare le sue imprescindibili imperfezioni, un invito che tutti dovremmo accogliere.
E se la vera bellezza risiedesse proprio nelle crepe che ci ostiniamo a nascondere? In un mondo in cui la perfezione è ormai ossessione, questa filosofia di vita è una vera e propria rivoluzione.